In questo testo Barrie Simmons affronta il tema principale della vita: la separazione. La prima vera separazione cui l’uomo è chiamato è la nascita: dalla morte dell’embrione alla persona “gettata nel mondo”, espulsa dal paradiso embrionale. Successivamente la vita non è altro che un susseguirsi di separazioni, l’ultima delle quali è la morte. L’uomo durante la sua esistenza si impegna a ricercare una protezione illusoria, come quella originaria persa. Come si illude? Piuttosto che prendere contatto con quello che c’è, l’uomo utilizza una serie di strategie difensive che in Psicoterapia della Gestalt sono definite “interruzioni di contatto”. L’uomo può usare la confluenza, l’introiezione, la proiezione, la retroflessione e la deflessione per evitare di stare in contatto con quello che c’è, con lo scopo di ricrearsi un utero sostitutivo a quello materno.
L’uomo crescendo si specializza nel creare rapporti di dipendenza, dettati da due polarità: l’odio e l’attaccamento. Entrambe le polarità isolano e separano, non permettendo l’incontro relazionale con l’altro. L’infanzia è il primo periodo della vita in cui si apprende la dipendenza come metodo di sopravvivenza e di crescita. Il bambino inizialmente dipende dai genitori che fungono da scudo protettivo, determinando in età adulta una serie di problemi legati al rapporto con il potere, alla tendenza alla confluenza ed all’inclinazione alla dipendenza. Innumerevoli e diversificati sono i metodi che l’uomo usa per rimanere aggrappato ad eventi e persone. Seppur la vita è un susseguirsi di perdite, basta pensare alle diverse fasi di vita, l’uomo ha enorme difficoltà in tema di separazione.
La maggior parte dei clienti in psicoterapia sono persone che rifiutano di separarsi da una fase della vita, da qualcuno o qualcosa. E’ difficile separarsi non solo da ciò che amiamo, ma anche da ciò che odiamo. La reazione adattiva al lutto di ciò che si ama è la tristezza, mentre di ciò che si odia è la gioia. Tuttavia la nostra cultura ci insegna ad inibire i sentimenti evocati dalla perdita, poiché socialmente inaccettabili o difficilmente sostenibili. L’aggrapparsi al passato è l’esito di situazioni incompiute, ad esempio infantili, che bloccano l’espressione diretta e alimentano la soddisfazione indiretta tramite la fantasia. Come si mantiene vivo l’incompiuto? E’ attraverso la tensione corporea cronica, l’inibizione del respiro, il vantaggio secondario del rimanere nella situazione passata e del restare nella posizione del “io ho ragione”, in attesa di una risoluzione dello scontro, che l’uomo continua a rimanere aggrappato al passato. Affinché avvenga una separazione bisogna dare espressione all’inespresso di ciò che è rimasto incompiuto.
Il processo emotivo della separazione richiede di abbandonare ciò che non c’è più, di imparare a dire addio. Tuttavia l’uomo si ostina ad evitare gli addii, attraverso il tenersi occupato, il fingere che niente sia successo, l’inibizione delle emozioni e l’attaccamento ai morti. Tuttavia queste strategie determinano sintomi fisici (es. ulcera) ed emotivi, come anaffettività, depressione ed incapacità di stabilire rapporti stretti.
La salute è connessione ed i rapporti funzionali sono quelli che respirano attraverso la continua oscillazione tra fusione e separazione. E’ necessario che ci sia uno spazio abitabile tra me e l’altro, in cui poter dar luogo ad un incontro autentico. “Chi può veramente separarsi dall’altro, può veramente incontrare l’altro”. La separazione richiede un addio.
L’accento messo sulla fase del salutare, del dire addio, è stato uno dei contributi notevoli di Fritz Perls. Con la terapia diventa possibile rendersi consapevoli, esprimere ciò che è rimasto inespresso, anche se la persona cui è diretto non è più fisicamente presente. Solo con l’addio diventa possibile perdonare la persona odiata, lasciar perdere i risentimenti che hanno avuto la funzione di tenere in vita la persona o il rapporto, arrivare anche ad un certo amore, all’accettazione della persona com’è o era.
L’accettazione del passato è l’unico e ineluttabile sentiero per arrivare al presente e, quindi, per liberarsi dalle vecchie situazioni.
Secondo questo modello, vivere la propria vita è l’unica via per arrivare ad accettare la morte. Non posso accettare la mia morte, se non ho vissuto, se c’è tanto in me che non si è espresso. Quello che abbiamo detto fin qui sulla difficoltà di separarsi da una persona, quando c’è un materiale inespresso e incompiuto, è vero anche nel rapporto intrapsichico, tra quel”io” e quel “tu” che sono ambedue me stesso. Paradossalmente solo vivendo a pieno tutte le separazioni della vita, vivo e mi preparo alla morte.
“Nella misura in cui ho vissuto, posso permettermi di morire”